Tra le innumerevoli versioni della fiaba di Biancaneve, diffuse in Europa, Africa e Stati Uniti, rare (1) sono quelle nelle quali alla fanciulla viene offerta una mela mortifera. La più famosa è certamente Sneewittchen (Schneewittchen) dei fratelli Grimm , sulla quale si basa il film di animazione di Walt Disney, che la interpreta in modo magistrale, rendendo appieno sia la tremenda violenza della matrigna, che nella precedente versione della favola tedesca del 1812 era la madre di Biancaneve, sia l’ambiguità del cacciatore, sia il terrore provocato dal bosco nella fanciulla abbandonata.
L’unico tentativo della matrigna per raggiungere Biancaneve nel bosco e per ucciderla è la trasformazione in una terribile strega resa irriconoscibile da un incantesimo e nella favola dei Grimm l’offerta della mela arriva dopo altre due volte in cui la ragazza ha acquistato dalla matrigna, oggetti che l’hanno fatta piombare in un sonno mortale. Non si tratta qui solo del cibo che tutti noi abbiamo ricevuto infanti, in termini sia concreti di sostentamento sia simbolici; per una donna si tratta anche di qualcos’altro, ad esso mescolato: parliamo di ciò che costituisce l’identità di genere, di ciò che significa essere una donna. Dalla madre questo giunge, nel sentimento che dalla madre bisogna staccarsi per poter arrivare a una propria autonomia e trovare il proprio percorso. Ecco che la mela, rappresentando questo cibo complesso e intimamente strutturante, per Biancaneve è irresistibile.
Non solo. L’oggetto “mela” porta con sé un significato culturale di antichissima data, narrato in storie che abbiamo visto essere diffuse in tutta Europa, in cui la mela è il frutto che si dà alla più bella. Ora, la questione al centro della storia di Biancaneve è proprio questa: chi è la più bella del reame? Per provare a comprendere qualcosa di questo nodo, nel quale la protagonista della favola rischia di rimanere strozzata, proviamo a leggere la fiaba come un sogno di un individuo.
Come nei sogni notturni (2) “vediamo” persone diverse che agiscono, e sappiamo che raffigurano parti di noi che si mostrano a raccontare a noi stessi qualcosa che durante la veglia non sapremmo dire, così possiamo pensare agli attanti di una fiaba come a parti diverse di uno stesso soggetto che agiscono in funzione di un finale: la fanciulla, la madre, la matrigna, il padre, il principe, rappresentano parti interne che si attivano in certi momenti e portano avanti l’intreccio di un percorso, che è un percorso identitario, in cui si fronteggiano alcune parti e se ne integrano altre. Nel finale felice (che c’è quasi sempre nelle favole, ma non è mai scontato, come sembrano dire quelle che finiscono male) tipicamente si sposano un giovane e una giovane, per vivere “felici e contenti” e dare origine ad una unione che è generativa, perché rimanda simbolicamente sia alla costruzione di una nuova famiglia, sia all’idea che i due affronteranno insieme ciò che verrà, generando nuove soluzioni che da soli non potevano trovare.
Così, nella favola di Biancaneve, la strega sanguinaria è una parte che si attiva quando la fanciulla raggiunge l’età dell’adolescenza o della prima giovinezza, quando cioè, come si dice nel linguaggio popolare, la ragazza “sboccia”, come un fiore che ha raggiunto, guarda caso, la sua massima bellezza. Cominciamo a intravedere che la questione è bifronte: la madre non vuol lasciare il suo primato di “più bella del reame”, la figlia lo desidera e lo teme contemporaneamente. Vuole essere donna a tutti gli effetti e insieme vuol lasciare che lo sia la madre. Questa medesima ambiguità è presente nella mela avvelenata: la figlia si vede consegnata dalla madre stessa l’oggetto destinato alla più bella, e allo stesso tempo non può sopportare che ciò avvenga. Ecco che Biancaneve non può rifiutare l’offerta ed ecco che Biancaneve muore.
I significati incrociati della mela di Eva, di Eris e di Biancaneve derivano in definitiva tutti quanti da una stessa logica: la mela è il frutto della Vita, del desiderio, che rivela, oltre alla sua dimensione positiva (accesso alla conoscenza, superamento della propria condizione), la sua pericolosità (costo simbolico della rivelazione). Infatti la mela anche dal punto vista botanico viene definito un falso frutto. Il carattere peculiare di falso frutto del pomo deriva da una particolarità che lo contraddistingue da altri veri frutti; di fatto quello che si considera "frutto" (inteso come parte commestibile) è solo il ricettacolo fiorale che cresce formando parte prevalente (come massa), rispetto alla parte centrale (torsolo) che è quella derivata dalla fecondazione; tale parte centrale, (che per definizione è detta invece "frutto"), avvolge e contiene i semi, mentre la parte accresciuta attorno non è originata dalla fecondazione e quindi non è botanicamente definibile come frutto.
Ecco la definizione dell' Enciclopedia Treccani
MELA: /'mela/ s. f. [lat. pop. mēlum (gr. attico μῆλον) per il classico malum (gr. dorico μᾶλον)].
Falso frutto costituito da vari carpelli cartilaginei, formanti 5 logge seminali e circondati da una parete carnosa, che deriva dalla saldatura e dallo sviluppo più o meno ricco dei tessuti carpellari e ricettacolari. È tipico della sottofamiglia Pomoidee (famiglia Rosacee; da alcuni è considerata come famiglia distinta: Pomacee), che comprende i generi Cotoneaster, Cydonia, Pirus, Eriobotrya, Amelanchier, Crataegus, Mespilus e altri; molti sono fruttiferi, come melo, pero, cotogno e nespolo. Le Pomoidee hanno 2-5 carpelli, saldati fra di loro e concresciuti con il ricettacolo; il vero frutto è rappresentato da ciò che comunemente si definisce torsolo, mentre la polpa costituisce, considerata a sé, uno pseudofrutto, derivando dall’accrescimento del ricettacolo floreale.
Questa spiegazione scientifica, dunque, rafforza ulteriormente la caratteristica fondamentale della mela, ossia la sua ambivalenza di significati. Infatti il suo aspetto illusorio, accattivante e seducente, maschera l'accezione sostanzialmente negativa e i rischi connessi al suo valore simbolico.
TRA FIABA E REALTÀ
Come per altre fiabe, come ad esempio Barbablù, la storia di Biancaneve potrebbe essere ispirata a fatti realmente accaduti; diversi ricercatori hanno cercato di mettersi sulle tracce della "vera" Biancaneve, la cui storia, tramandata oralmente e arricchita di elementi fiabeschi dalla fantasia popolare, sarebbe poi giunta a noi tramite i Fratelli Grimm.
NOTE:
1) Oltre a quella dei Grimm, si ricorda Le miroir di Menton e La piccola Biancaneve turca, che presentano entrambe simili varianti (gli ospiti di Biancaneve la risvegliano) e simili lacune (nella versione turca la fanciulla muore dopo un anno dall’episodio della mela, non sappiamo come, un principe la trova morta, la porta a casa, la mostra al padre e la sposa e non sappiamo se e come l’ha risvegliata)
2) cfr. Adalinda Gasparini, La luna nella cenere, Milano, Franco Angeli, 1999. Fiabe come sogni
L’unico tentativo della matrigna per raggiungere Biancaneve nel bosco e per ucciderla è la trasformazione in una terribile strega resa irriconoscibile da un incantesimo e nella favola dei Grimm l’offerta della mela arriva dopo altre due volte in cui la ragazza ha acquistato dalla matrigna, oggetti che l’hanno fatta piombare in un sonno mortale. Non si tratta qui solo del cibo che tutti noi abbiamo ricevuto infanti, in termini sia concreti di sostentamento sia simbolici; per una donna si tratta anche di qualcos’altro, ad esso mescolato: parliamo di ciò che costituisce l’identità di genere, di ciò che significa essere una donna. Dalla madre questo giunge, nel sentimento che dalla madre bisogna staccarsi per poter arrivare a una propria autonomia e trovare il proprio percorso. Ecco che la mela, rappresentando questo cibo complesso e intimamente strutturante, per Biancaneve è irresistibile.
Non solo. L’oggetto “mela” porta con sé un significato culturale di antichissima data, narrato in storie che abbiamo visto essere diffuse in tutta Europa, in cui la mela è il frutto che si dà alla più bella. Ora, la questione al centro della storia di Biancaneve è proprio questa: chi è la più bella del reame? Per provare a comprendere qualcosa di questo nodo, nel quale la protagonista della favola rischia di rimanere strozzata, proviamo a leggere la fiaba come un sogno di un individuo.
Come nei sogni notturni (2) “vediamo” persone diverse che agiscono, e sappiamo che raffigurano parti di noi che si mostrano a raccontare a noi stessi qualcosa che durante la veglia non sapremmo dire, così possiamo pensare agli attanti di una fiaba come a parti diverse di uno stesso soggetto che agiscono in funzione di un finale: la fanciulla, la madre, la matrigna, il padre, il principe, rappresentano parti interne che si attivano in certi momenti e portano avanti l’intreccio di un percorso, che è un percorso identitario, in cui si fronteggiano alcune parti e se ne integrano altre. Nel finale felice (che c’è quasi sempre nelle favole, ma non è mai scontato, come sembrano dire quelle che finiscono male) tipicamente si sposano un giovane e una giovane, per vivere “felici e contenti” e dare origine ad una unione che è generativa, perché rimanda simbolicamente sia alla costruzione di una nuova famiglia, sia all’idea che i due affronteranno insieme ciò che verrà, generando nuove soluzioni che da soli non potevano trovare.
Così, nella favola di Biancaneve, la strega sanguinaria è una parte che si attiva quando la fanciulla raggiunge l’età dell’adolescenza o della prima giovinezza, quando cioè, come si dice nel linguaggio popolare, la ragazza “sboccia”, come un fiore che ha raggiunto, guarda caso, la sua massima bellezza. Cominciamo a intravedere che la questione è bifronte: la madre non vuol lasciare il suo primato di “più bella del reame”, la figlia lo desidera e lo teme contemporaneamente. Vuole essere donna a tutti gli effetti e insieme vuol lasciare che lo sia la madre. Questa medesima ambiguità è presente nella mela avvelenata: la figlia si vede consegnata dalla madre stessa l’oggetto destinato alla più bella, e allo stesso tempo non può sopportare che ciò avvenga. Ecco che Biancaneve non può rifiutare l’offerta ed ecco che Biancaneve muore.
I significati incrociati della mela di Eva, di Eris e di Biancaneve derivano in definitiva tutti quanti da una stessa logica: la mela è il frutto della Vita, del desiderio, che rivela, oltre alla sua dimensione positiva (accesso alla conoscenza, superamento della propria condizione), la sua pericolosità (costo simbolico della rivelazione). Infatti la mela anche dal punto vista botanico viene definito un falso frutto. Il carattere peculiare di falso frutto del pomo deriva da una particolarità che lo contraddistingue da altri veri frutti; di fatto quello che si considera "frutto" (inteso come parte commestibile) è solo il ricettacolo fiorale che cresce formando parte prevalente (come massa), rispetto alla parte centrale (torsolo) che è quella derivata dalla fecondazione; tale parte centrale, (che per definizione è detta invece "frutto"), avvolge e contiene i semi, mentre la parte accresciuta attorno non è originata dalla fecondazione e quindi non è botanicamente definibile come frutto.
Ecco la definizione dell' Enciclopedia Treccani
MELA: /'mela/ s. f. [lat. pop. mēlum (gr. attico μῆλον) per il classico malum (gr. dorico μᾶλον)].
Falso frutto costituito da vari carpelli cartilaginei, formanti 5 logge seminali e circondati da una parete carnosa, che deriva dalla saldatura e dallo sviluppo più o meno ricco dei tessuti carpellari e ricettacolari. È tipico della sottofamiglia Pomoidee (famiglia Rosacee; da alcuni è considerata come famiglia distinta: Pomacee), che comprende i generi Cotoneaster, Cydonia, Pirus, Eriobotrya, Amelanchier, Crataegus, Mespilus e altri; molti sono fruttiferi, come melo, pero, cotogno e nespolo. Le Pomoidee hanno 2-5 carpelli, saldati fra di loro e concresciuti con il ricettacolo; il vero frutto è rappresentato da ciò che comunemente si definisce torsolo, mentre la polpa costituisce, considerata a sé, uno pseudofrutto, derivando dall’accrescimento del ricettacolo floreale.
Questa spiegazione scientifica, dunque, rafforza ulteriormente la caratteristica fondamentale della mela, ossia la sua ambivalenza di significati. Infatti il suo aspetto illusorio, accattivante e seducente, maschera l'accezione sostanzialmente negativa e i rischi connessi al suo valore simbolico.
TRA FIABA E REALTÀ
Come per altre fiabe, come ad esempio Barbablù, la storia di Biancaneve potrebbe essere ispirata a fatti realmente accaduti; diversi ricercatori hanno cercato di mettersi sulle tracce della "vera" Biancaneve, la cui storia, tramandata oralmente e arricchita di elementi fiabeschi dalla fantasia popolare, sarebbe poi giunta a noi tramite i Fratelli Grimm.
- Nel 1986, ad esempio, il ricercatore Karl-Heinz Barthels rese pubblica la sua tesi secondo la quale Biancaneve sarebbe stata in realtà Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal, nata a Lohr nel 1725 e figlia di un importante magistrato e rappresentante del Principe Elettore tedesco. La nobile aveva perso la madre in età giovanile e suo padre si era risposato con Claudia Elisabeth von Reichenstein', che aveva usato la sua nuova posizione sociale per favorire i suoi figli di primo letto, a scapito della von Erthal. Questa sarebbe stata addirittura costretta a lasciare il palazzo per vivere nei boschi lì attorno; nella zona, peraltro, erano presenti molte miniere, nelle quali, data la ristrettezza dei cunicoli, lavoravano persone di statura molto bassa o addirittura bambini: da questo elemento sarebbero derivati i sette nani. La ragazza morì di vaiolo pochi anni dopo; probabilmente l'avversione dei suoi concittadini per la matrigna inasprì la figura di quest'ultima a vantaggio di Maria Sophia, dipinta come una martire; la sua storia venne tramandata oralmente in forme simili a quella poi raccolta dai Grimm, che attualmente conosciamo. Il castello dei von Erthal è tuttora un'attrazione turistica, e ai visitatori viene mostrato il cosiddetto "specchio parlante", che il padre di Maria Sophia avrebbe regalato alla matrigna: si tratta di un giocattolo acustico in voga nel '700, in grado di registrare e riprodurre le frasi pronunciate da chi si specchiava. Esso sarebbe alla base dello Specchio Magico della matrigna.
- Un'altra teoria, pubblicata dallo storico Eckhard Sander nel 1994, vedrebbe invece la Biancaneve originale in Margaretha von Waldeck, nata a Bruxelles nel 1533: la ragazza sarebbe stata l'amore giovanile di Filippo II di Spagna, ma fu tolta di mezzo a ventuno anni dalla polizia segreta del re, che vedeva nella loro unione un possibile impedimento ai matrimoni combinati delle case regnanti. Margaretha fu uccisa con del veleno. Anche in questo caso sembrano esserci numerose corrispondenze tra fiaba e realtà: a parte la vicenda della donna (anche lei orfana di madre in giovane età e affidata a una matrigna), suo padre, il conte Samuel von Waldeck, gestiva nella zona di Bruxelles diverse miniere, dando vita alla figura dei Nani come nella teoria di Barthels. A questi elementi si aggiungerebbe anche la figura dello Stregone dei Meli, una sorta di "Uomo Nero" del folklore locale, la cui presenza viene utilizzata per suggestionare i bambini e spingerli a non rubare dai frutteti altrui: lo Stregone sarebbe infatti in grado di avvelenare le mele per causare nei bambini-ladruncoli lancinanti dolori di gola e di stomaco. La sovrapposizione delle credenze locali con la storia di Margaretha avrebbe dato vita alla storia di Biancaneve. Nonostante il certo fascino di queste teorie, è impossibile verificare se le corrispondenze tra realtà e fiaba siano reali.
NOTE:
1) Oltre a quella dei Grimm, si ricorda Le miroir di Menton e La piccola Biancaneve turca, che presentano entrambe simili varianti (gli ospiti di Biancaneve la risvegliano) e simili lacune (nella versione turca la fanciulla muore dopo un anno dall’episodio della mela, non sappiamo come, un principe la trova morta, la porta a casa, la mostra al padre e la sposa e non sappiamo se e come l’ha risvegliata)
2) cfr. Adalinda Gasparini, La luna nella cenere, Milano, Franco Angeli, 1999. Fiabe come sogni